… e il lavoro?
14 ottobre, 2008 1 commento
Quando nacque William tutti dissero che era un bel bambino. A Milkway city non se n’era visto uno più bello. Molti dicevano che guardandolo si aveva l’impressione che il sole fosse apparso tra le nuvole.
A dodici anni leggeva come un pazzo romanzi d’avventura e costruiva modellini di aereo.
Un paio d’anni dopo cominciò a frequentare il tetro negozio di pompe funebri della famiglia.
Conobbe il dolore, quello degli altri.
Conobbe la morte, quella degli altri.
Tutti i morti, collocati nelle lucide e sontuose casse da morto costruite dal padre, gli sembravano in realtà dei facsimile di uomo, come statue di cera a grandezza naturale. Il dolore dei parenti invece era reale, intenso ed urlava per essere alleviato.
Decise che il mondo aveva bisogno di dare ai morti quella bellezza che non avevano mai avuto da vivi.
Comprò un sacco di libri usati di chimica, poi di medicina e di dermatologia.
Fece degli esperimenti.
I cadaveri di topi, gatti e cani furono bruciati, poi liofilizzati, infine liquefatti, ma la bellezza era ardua da raggiungere.
Mentre faceva il primo anno dell’high school riuscì ad realizzare il primo cadavere di topo perfettamente pulito lustro, ma solo per un istante. Appena aperto l’involucro di trattamento il topo si disfece come polvere del deserto mentre una nuvola di vapore si librava nell’aria. William pensò di averne inalato tanto, di quel vapore, perchè gli venne l’idea che doveva trasformare tutta la sua vita.
Ci vollero sei mesi per metterla a punto. E la notte di Natale del 1994, finalmente, riunì la famiglia intera nel salotto buono di casa, mentre l’intera Milkway City si predisponeva a tagliare il succulento tacchino. Aveva predisposto tutto l’occorrente sotto un tavolo di legno, coperto da una grande tovaglia di raso nero. Quando l’intera famiglia si raccolse davanti a lui, tirò fuori un barattolo che conteneva un topo morto e zozzo di fango. Sua madre Molly per poco non svenne, mentre i baffi di John, suo padre, sobbalzarono. Fritz ridacchiò pregustando la solita debacle dell’invidiatissimo fratello geniale.
Tutto invece andò bene. William mise il topo in un sacchetto di spessa gomma nera, facendolo sparire alla vista. Molly si riprese. Poi cominciò ad armeggiare intorno alla piccola apertura rotonda del sacco infilandoci intrugli polverosi, sostanze liquide colorate e vischiose paste, tutte misurate con cura da diverse boccette. In ultimo prese un asciugacapelli da viaggio miniaturizzato e lo collocò nella parete interna del sacco. Chiuse tutto e inserì la spina. Il sacchetto trotterello vibrando sul tavolo producendo il sibilo ovattato dell’aria calda.
Poi, con espressione trionfale, aprì delicatamente il sacco tirando fuori il topo per la coda.
Meraviglia! Quello non era un topo, era un’opera d’arte! Era lucido e pulito, perfetto. La coda elastica, il pelo morbido come un peluche, le orecchie rosee, l’occhio presente, i baffi vibranti. Come vivo. Anzi, meglio che vivo. Leggi il resto dell’articolo