… e il lavoro?

Quando nacque William tutti dissero che era un bel bambino. A Milkway city non se n’era visto uno più bello. Molti dicevano che guardandolo si aveva l’impressione che il sole fosse apparso tra le nuvole.
A dodici anni leggeva come un pazzo romanzi d’avventura e costruiva modellini di aereo.
Un paio d’anni dopo cominciò a frequentare il tetro negozio di pompe funebri della famiglia.
Conobbe il dolore, quello degli altri.
Conobbe la morte, quella degli altri.
Tutti i morti, collocati nelle lucide e sontuose casse da morto costruite dal padre, gli sembravano in realtà dei facsimile di uomo, come statue di cera a grandezza naturale. Il dolore dei parenti invece era reale, intenso ed urlava per essere alleviato.
Decise che il mondo aveva bisogno di dare ai morti quella bellezza che non avevano mai avuto da vivi.
Comprò un sacco di libri usati di chimica, poi di medicina e di dermatologia.
Fece degli esperimenti.
I cadaveri di topi, gatti e cani furono bruciati, poi liofilizzati, infine liquefatti, ma la bellezza era ardua da raggiungere.
Mentre faceva il primo anno dell’high school riuscì ad realizzare il primo cadavere di topo perfettamente pulito lustro, ma solo per un istante. Appena aperto l’involucro di trattamento il topo si disfece come polvere del deserto mentre una nuvola di vapore si librava nell’aria. William pensò di averne inalato tanto, di quel vapore, perchè gli venne l’idea che doveva trasformare tutta la sua vita.
Ci vollero sei mesi per metterla a punto. E la notte di Natale del 1994, finalmente, riunì la famiglia intera nel salotto buono di casa, mentre l’intera Milkway City si predisponeva a tagliare il succulento tacchino. Aveva predisposto tutto l’occorrente sotto un tavolo di legno, coperto da una grande tovaglia di raso nero. Quando l’intera famiglia si raccolse davanti a lui, tirò fuori un barattolo che conteneva un topo morto e zozzo di fango. Sua madre Molly per poco non svenne, mentre i baffi di John, suo padre,  sobbalzarono. Fritz ridacchiò pregustando la solita debacle dell’invidiatissimo fratello geniale.
Tutto invece andò bene. William mise il topo in un sacchetto di spessa gomma nera, facendolo sparire alla vista. Molly si riprese. Poi cominciò ad armeggiare intorno alla piccola apertura rotonda del sacco infilandoci intrugli polverosi, sostanze liquide colorate e vischiose paste, tutte misurate con cura  da diverse boccette. In ultimo prese un asciugacapelli da viaggio miniaturizzato e lo collocò nella parete interna del sacco. Chiuse tutto e inserì la spina. Il sacchetto trotterello vibrando sul tavolo producendo il sibilo ovattato dell’aria calda.
Poi, con espressione trionfale, aprì delicatamente il sacco tirando fuori il topo per la coda.
Meraviglia! Quello non era un topo, era un’opera d’arte! Era lucido e pulito, perfetto. La coda elastica, il pelo morbido come un peluche, le orecchie rosee, l’occhio presente, i baffi vibranti. Come vivo. Anzi, meglio che vivo. Leggi il resto dell’articolo

Depressione. La sindrome di Mandrake e della Sfinge.


Lost Baby Angel Inserito originariamente da Pink Sherbet Photography

Come credo abbiano capito tutti in questi ultimi sei mesi, parrebbe che il mondo debba affrontare un periodo in cui la parola Depressione campeggerà, ossessiva e martellante, nella maggior parte di ciò che vedremo, sentiremo e leggeremo.

La parola “depressione”, dal latino “deprimere”, ha significati specifici in sette spazi cognitivi, almeno a detta del vocabolario. In ognuno di questi ha un senso negativo, avvilito. Si comincia dalla depressione geografica, col senso di soffocamento che certo si deve provare sulla riva di immani e accalorati laghi salati ai confini del mondo, per finire con quello psichiatrico, transitando per quello, stranoto, economico. Non passa giorno senza che il Tg annunci la strage familiare perpetrata dall’ennesimo depresso, dentro un appartamento normale, di un condominio dignitoso.
Il Vocabolario, inoltre, ci ricorda il significato arcaico: “umiliazione”.
Insomma, sembrerebbe che ormai siamo completamente immersi nel più profondo avvilimento dell’umiliazione.
Ma di questo, ci sono molti gradi e molti luoghi, serpeggiando ovunque e allagando le antiche speranze liquefatte su porzioni sempre più ampie d’umanità (occidentale).
L’avvilimento più pericoloso e nascosto occorre nell’ambito lavorativo.
A chi non è successo di osservare con fare distaccato un ampio open space, in cui diverse scrivanie si allineano sotto le luci al neon di una normale mattinata lavorativa; diciamo un’aziendina, una fabbrichetta, una qualsiasi. Soprattutto di quelle che hanno tra i sei e i dieci anni di vita, il periodo giusto in cui termina la spinta giovanile dell’entusiasmo, si affacciano problemi di denaro e di necessità di cambiamento, nel ricordo di momenti d’oro, ormai passati.
Di norma colui che viene chiamato il “Titolare” di solito aveva una capacità di lavoro superiore alla norma. E’ questo il meme culturale che lo contraddistingue, dai tempi della primissima rivoluzione industriale. Ma negli ultimi anni il titolare mette in mostra queste sue capacità solo quando ha un pubblico, interno o esterno, per il resto … sparisce.
E’ la sindrome di Mandrake.
Persino il Titolare, quello che guadagna di più, il padrone, è avvilito dall’umiliazione. Leggi il resto dell’articolo